palmetta.

esiste un cortile nella cornice antica di roma sud, intrappolato tra i palazzi costruiti negli anni 70. la verde valle della caffarella e il traffico di via appia nuova fanno da sfondo a questo segreto mondo, conosciuto da pochi, invidiato da molti. 
Sono cresciuto ascoltando storie di stradine nascoste dove si intrecciavano storie, amori, pistole, politica e droga. La Roma che ho vissuto da piccolo è una città lontana dai nostri giorni, frenetici e indifferenti, vissuti negli uffici e poco nelle strade. appena uscivo di casa sentivo sempre questo ritornello...: " a regà se vedemo in palma alle 4..- tutti in palma alle 7. aò io v'aspetto al muretto.- noi stamo agli spacchi!!- se vedemo al cancelletto!".
in quel piccolo quadrato di cemento c'erano mille angoli che diventavano appuntamenti, luoghi di ritrovo, punti certi, fissi. Riferimenti ai quali ricorrere come rifugi da proteggere, la chiamavamo 'casa nostra'.
al centro di questo giardino di cemento, sorgeva in una Roma periferica solitaria romantica e piena di verde, la Palma; maestosa, elegante, fiera, regina dei nostri sogni fanciulli, madre protettiva, testimone di ogni nostra scorribanda. il nome Palma mi è entrato nelle orecchie, negli occhi, nel cuore. appena fatti i primi due tre amici ero fiero di dire a mia madre: "a ma' io sto in palma!" Parliamo dei primi anni 80, non cosi lontano da oggi, ma basta vedere una fotografia per capire il netto distacco tra i due periodi. Ho vissuto la Roma coi bambini nel cortile, a centinaia, protetti dai fratelli piu grandi, amici tra loro dai primi giorni fino a diventare grandi insieme e restare uniti ancora oggi. La Roma con la musica a palla, che usciva dalle finestre delle case, dai finestrini delle macchine, dalle radio. Non c'erano telefonini ma citofoni, non c'era lo squillo ma lo strillo delle mamme alle finestre...: " a valè è pronto! non te lo dico più, o vieni o faccio usci tu padre!" e in quel momento capivi che la partita si poteva continuare il giorno dopo.
Appena uscivo da casa davanti a me si trovava l'unica porta che divideva noi dagli altri, al civico 34 brillava di luce nera il famoso'cancelletto'. C'erano alcuni di noi che avevano addirittura le chiavi, si voleva proteggere il nostro modo di essere, o semplicemente la nostra infanzia.Un modo di essere unico, spocchioso, irriverente, orgoglioso e spavaldo che voleva distinguersi dal resto del quartiere.. che ci chiamavano, per noi un orgoglio.. ' quelli della palmetta.' Questo causava invidie e antipatie. Ma la verità è che quell'angolo di mondo , dove si poteva giocare per ore a calcio, calcetto, tennis, racchettoni, lotta, pallacanestro, tedesca, corsa,pallavolo, biglie,figurine e nascondino.. non ce l'aveva nessuno. Nessuno aveva la stradina, la palma, il muretto, gli spacchi e le meravigliose aiuole che coloravano di verde un piccolo angolo di cemento coperto da improvvisi palazzoni , creature del progresso, quel tentativo di far dimenticare a roma le sue origini e le sue tradizioni vissute in una meravigliosa campagna di periferia.
In palmetta si facevano tornei di calcio, sfidando la comitive delle vie confinanti. La palmetta aveva il campo proprio sotto casa mia, maglia rigorosamente verde. una squadra nata dalle gesta di pierino, i colpi di testa di Sandrone e le parate di Lele. La palma attendeva gli ospiti nella parte nord del cortile, con una porta perfettamente costruita dal cancello del garage. quel cancello era la tanto sognata porta dove insaccare il nostro tango e dignitosamente difesa dal portiere massimo cerasani e dal centrale cristian medici.
Le macchine non erano cosi tante come oggi, ma quelle che passavano avevano un altro passo, non c'era quella fretta disperata e ansiosa di oggi . Si fermavano, aspettavano il cross e poi passavano. c'era una solidarietà che oggi sogniamo. Erano padri degli amici, amici dei nostri padri, o semplicemente chi, davanti ad un bambino che giocava non riusciva a trattenere quel sorriso che ti regala lo sguardo fanciullo sporco di felicità, la magia del gioco, l'incanto per le piccole cose che ti insegna un ragazzino col viso malandrino.
una solidarietà che potevi ascoltare nei dialoghi in finestra, da un lato all'altro della via le mamme si scambiavano racconti, sfoghi, risate e ricette.. ( non su youtube!) parlavano dei figli, della giornata, del pranzo da preparare o il vestito da cucire.. " vabbe Rosì famme annà che sennò oggi non finisco più, saluta tu marito!".
e ti sentivi protetto dalla mamma del tuo amico.. " a valè , tua madre è uscita, vedi de non allontanatte!". Roma era così, si viveva insieme, si respirava aria di famiglia. Era come se nessuno potesse mai infrangere quel muro di cristallo. La sensazione era quella. Ma tutti i momenti felici si chiamano storici perchè passano e lasciano tracce o sui libri o nei cuori di chi li ricorda.Le squadre partecipanti al torneo erano: via lemmi, via vigna Fabbri, oratorio, giardinetti, palma, Palmetta. I ricordi più belli sono delle trasferte in casa giardinetti, dove dovevi affrontare oltre agli avversari; sassi, dossi e panchine, e se il pallone andava fuori rischiavi di doverlo recuperare al commissariato a due passi dal campo. Un improvviso palo di ferro abbandonato per distrazione diventava perfetto per la porta.L oratorio, aveva il suo fascino. Aveva due campi, uno dentro l oratorio, l altro, in caso di chiusura, era il parco della Caffarella. La trasferta in casa della palma era il vero e proprio derby, con tanto di spalti gremiti e fumogeni. Un evento per il quartiere, c era la sfida tra le prime squadre, formate dai nostri fratelli più grandi, e poi noi che sfidavamo i fratelli più piccoli della palma. Avevamo un linguaggio completamente nostro. E ancora oggi, quando ci troviamo in altre zone della città, possiamo capirci solo tra noi, in un gergo tutto nostro, che va avanti da generazioni. Per dire che quel tipo aveva una faccia strana usavamo ' fezza', capelli non decisamente approvati dal gruppo diventavano ' giao', per dire 'non vengo' dicevamo 'vingo', per dire no il nostro traduttore curiosamente inventò "de muv". Un lingua tutta nostra, che ci permetteva di sfottere chiunque in trasferta senza che ci potesse capire. I premi per le partite erano: un calippo, famoso ghiacciolo che deliziava il nostro cuore, la coca Cola, il cornetto algida. Per noi erano queste le coppe, le nostre Champions League.



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